Max Sanguedolce, 200 presenze nel Milano
dalla nonna arbitro al messaggio di Ivan Guerci
Il prima base-esterno racconta le sue 200 volte in rossoblù: "Sono qui grazie a mia nonna, che aveva scoperto il baseball volendo fare l'arbitro. Inseguivo questo traguardo per non essere da meno dei miei compagni di una vita: da Nicola Bancora a Marco Pasotto. Con Capellano una sfida a chi ci arrivava per primo. Sono cresciuto nel vivaio del Milano e mi sento di appartenere in tutto a questa società. Fraschetti il mio primo allenatore da bambiono, poi l'ho ritrovato in prima squadra. In questa squadra ci aiutiamo tutti e il gruppo è la nostra forza: si è visto con il Codogno. Del Milano mi affascinano le vittorie europee. E il ricordo di Ivan Guerci: che emozione quando l'anno scorso mi mandò un messaggio per ringraziarmi di quello che avevo fatto in campionato per questa società. Mi vengomno ancora i brividi..."

Duecento partite da “normal one”. Un traguardo raggiunto quasi nell’ombra, pur avendo conquistato anche attestati importanti, come il titolo di miglior battitore rossoblù dell’ultima stagione con un 348 di media che in serie A non è da tutti. Massimo Sanguedolce può guardare soddisfatto a questo traguardo, raggiunto tra l’altro in un weekend che l’ha visto protagonista nel momento più delicato della giornata. Duecento partite che arrivano da lontano, duecento presenze fatte in casa, visto che Max è il classico prodotto del vivaio, nato, cresciuto e maturato nel settore giovanile rossoblù, negli anni del rilancio dei primi anni Duemila, voluto fortemente dall’allora presidente Giulianelli. Adesso Sanguedolce può tracciare un primo bilancio della sua carriera, ma anche del Milano degli ultimi anni, visto che è uno dei tre soli giocatori (con capitan Bancora e Luca Fraschetti) ad aver giocato tutte le stagioni della rinascita guidata dal presidente Selmi e da Marco Fraschetti, ovvero le nove stagioni che vanno dal 2017 ad oggi, dalla serie C alla serie A con ambizioni da playoff.
Max, che cosa rappresentano per te queste 200 partite?
“Sapevo di essere vicino e ci tenevo, soprattutto dopo averlo visto raggiungere da compagni di squadra che condividono con me questo cammino da tanto tempo, come Marco Pasotto e Nicola Bancora, che avevano avuto già l’opportunità di debuttare nella franchigia United, e poi adesso da Capellano che mi ha preceduto di poco e con lui c’era anche una simpatica sfida interna. E’ un traguardo molto importante che mi fa sentire ulteriormente parte di questa società, anche se non ne avevo bisogno, visto che sono nato e cresciuto qui”.
A proposito, che cos’è per te il Milano?
“Probabilmente c’è un legame diverso rispetto ai grandi del passato, non tanto per quanto riguarda l’impegno o la voglia di essere protagonisti sul campo e fuori dal campo. Però rispetto alla storia che questa società può vantare, diciamo che siamo nel momento di risalita. Ma anche vivere tutte le esperienze dalla serie C fino alla serie A è stato un percorso a scalare verso l’alto che mi dà la sensazione di essere arrivati a risultati notevoli, pur sapendo che la storia che ci ha preceduto parla anche di trofei importanti, di traguardi europei…”.
Dicevi che sei nato e cresciuto qui, ma come sei arrivato al baseball?
“E’ una storia un po’ fumosa anche per i miei ricordi. Perché quando avevo 6 anni ho cominciato a praticare sia il baseball, sia il judo. Poi, però, con gli allenamenti spesso in sovrapposizione, ho dovuto scegliere. E ho scelto la via del baseball. La storia vuole che sia stata mia nonna a portarmi sul campo da baseball, perché lei prima di me si è interessata a questo sport, come arbitro. Così almeno mi ha raccontato lei, ma mi tengo volentieri questa leggenda… E poi, sempre parlando di cicli, è molto divertente il fatto che Fraschetti sia stato anche il mio primo allenatore, quando ero piccolo, nella categoria Ragazzi. Insomma un ciclo che poi si è chiuso quando l’ho ritrovato manager della prima squadra”.
E in mezzo che allenatori hai avuto?
“Con Marco credo di aver fatto un solo anno all’inizio, poi ne ho avuti altri che ricordo molto volentieri: Dario Martinelli per qualche tempo, e mi scalda il cuore il fatto che si ricordi sempre di me, poi Vittorio Bacio, uno dei più influenti nel mio periodo infantile, poi ho avuto altre guide importanti come Dario Rossi, Marco Masiero, Simone Spinosa, con questi ultimi che mi hanno introdotto nel baseball dei grandi, nella squadra che faceva la serie C”.
Hai ancora davanti tanti anni di carriera, ma ti vedi già con un futuro nel Milano anche in altri ruoli?
“Per il momento sicuramente penso solo a giocare, nel senso che soprattutto nell’ultimo periodo sto pensando stagione per stagione. E voglio concentrarmi sull’obbiettivo personale e di squadra, poi rifletterò con calma sul futuro insieme a Marco, insieme allo staff. Anche per gli impegni professionali, tanto più penso che sia il momento buono per smettere, tanto più mi dico che voglio andare avanti. Perché è pur sempre uno sport che mi dà tanto”.
Tu, visto da fuori, dai l’impressione di essere un giocatore in crescita. Nel senso che rispetto ai tuoi primi anni, in cui potevi sembrare un giocatore senza grandi prospettive, adesso anno per anno stati acquisendo una tua personalità e un tuo ruolo. Condividi?
“Su questo mi sono divertito, perché più sono le esigenze lavorative fuori dal campo e più è aumentata la mia efficacia in campo. Le ultime stagioni, quella della promozione dalla B e l’anno scorso in A, sono state importanti e positive. Forse perché ho capito quali sono i miei limiti e più che cercare di superarli, perché dal punto di vista tecnico non posso più farlo, sto cercando di lavorare per il gruppo, di fare al meglio quello che sono capace di fare”.
E ti sta aiutando anche questo ruolo che ti hanno ritagliato, di pinch hitter, di giocatore delle situazioni complicate? Un ruolo che ti dà fiducia, evidentemente.
“Fa parte del percorso di crescita iniziato nell’ultimo anno di B. E in serie A ho capito che non potevo avere delle pretese, per cui ho resettato e mi sono concentrato sulle cose che posso fare”.
Così l’anno scorso, a sorpresa, hai finito per essere il miglior battitore del Milano…
“Sì, sicuramente a sorpresa. Proprio perché da me non ci si può aspettare un doppio, un fuoricampo, una battuta lunga, ma alla fine spengo il cervello e mi dico: adesso bisogna fare questo, punto e basta. Non esiste niente intorno, non importa chi è il lanciatore, non importa nulla: va fatto questo lavoro. E in quella dimensione ritrovo la concentrazione e la fiducia che serve”.
Ricordi il tuo debutto in prima squadra?
“E’ molto difficile. Mi è venuta in mente leggendo l’articolo dell’altro giorno, ma io non ho buona memoria sulle partite”.
Ricorderai però quel campionato di ripartenza dalla serie C…
“Sicuramente, perché quello è stato un po’ il cambio di mentalità per me, l’ambizione di vincere subito il campionato. Per me è stato molto stimolante, sapendo che avrei giocato anche con alcuni compagni che avevano già fatto esperienza nella franchigia, mentre io probabilmente non ero pronto per quel passo”.
A proposito di compagni, chi è stato quello ideale in tutti questi anni? Il compagno di una vita?
“Compagni di una vita mi sono rimasti solo Nicola Bancora e Marco Pasotto, sono quelli dello zoccolo duro con cui ho iniziato, quelli della mia generazione. Io forse ho iniziato un anno prima, ma comunque abbiamo passato tanti e tanti anni assieme dalle giovanili in poi. Un gruppo che comprendeva anche altri, da Malli a Giulio Negri, che hanno fatto gran parte del percorso con me. Però devo dire che anche il gruppo attuale per fortuna è veramente coeso, dà la sensazione di stare tanto bene insieme. Anche con i nuovi innesti, tipo Calasso o Anthony Arcila, ci sentiamo molto uniti. E questo durante le partite serve tanto”.
Dici di aver cancellato la memoria delle partite, ma ce ne sarà qualcuna che ti è rimasta in mente in modo particolare…
“Sì, ricordo soprattutto le fasi cruciali dei campionati. A partire dalla promozione in B contro il Sanremo qui al Kennedy, soprattutto perché mi ritrovai in una situazione decisiva ma non riuscii a fare quello che volevo. Semplicemente perché ero in battuta con i punti della vittoria sulle basi, ma Andrea Pasotto in prima e Pinazzi in terza fecero una doppia rubata e io restai lì con la mazza in mano, vincendo la partita da spettatore. Invece a San Bonifacio ho lasciato il marchio su gara due dei playoff promozione in A. E poi mi ricordo la partita con il Parma, in serie A nel 2021, quando loro fecero una no hit combinata, con tre pitcher, ma io ruppi il perfect game prendendo una base ball…”.
Dove può arrivare questo Milano?
“Oltre alle ambizioni di voler arrivare ai playoff, quello che sta emergendo è che possiamo giocarcela con chiunque. E non è una frase fatta. Perché, anche quando subiamo delle situazioni negative, sappiamo risollevarci. Magari con molta calma, ma ci risolleviamo. E la dimostrazione è stata ad esempio la vittoria di domenica col Codogno, in cui abbiamo aspettato proprio l’ultima occasione per ribaltare la partita. Però è l’indicazione che il gruppo è forte e ognuno è leader nei confronti di qualcun altro. Conoscendo i punti di forza e di debolezza di ognuno di noi, sappiamo darci una mano. Insomma, proprio nelle situazioni più difficili, si vede il gruppo”.
Per finire, torniamo sulla storia del Milano: che cosa conosci o che cosa ti ha colpito di più?
“Diciamo che il fatto di essere alle origini della fondazione del nostro sport in Italia ha già un significato indubbiamente molto importante. Poi, non solo gli scudetti, ma la cosa che mi colpisce sempre molto sono i traguardi internazionali, che rappresentano molto per la visibilità di questa società nell’olimpo del baseball europeo. E il blasone di questa squadra, per come si percepisce anche dall’esterno, per noi è molto stimolante”.
E dei personaggi del passato, invece, chi conosci o ti affascina di più?
“Diciamo che sono più legato alla storia recente, a partire da qualcuno con cui ho avuto modo anche di giocare, come Simone Bacio e Francesco Parisini, che erano miei compagni quando ho iniziato nella squadra di serie C. Poi ho avuto come coach Thomas e Raoul Pasotto, due personalità molto molto forti. Ma un impatto molto forte l’ho avuto con Ivan Guerci, non solo per i numeri che lo rappresentano, ma perché negli anni abbiamo imparato a conoscerci bene, soprattutto quando ha cominciato a venire a qualche allenamento e ci dava dei consigli. E poi ho sempre sentito la sua presenza sugli spalti, che era quella di un tifoso critico, però la cosa che mi ha colpito moltissimo, e che mi mette ancora i brividi, è che l’anno scorso a fine campionato mi ha scritto un messaggio privato e mi ha detto: grazie per quello che hai fatto per questa società, per questa stagione importante. Un riconoscimento che appunto mi mette ancora i brividi e che ho apprezzato molto. E il fatto che me lo dicesse una bandiera come lui, mi ha riempito di orgoglio”.







