Addio a Marco Borroni, fedelissimo con due bandiere
Si è fermato improvvisamente il cuore di Marco Borroni, 65 anni, Wimpy per tutto il mondo del baseball. Ha diviso tutta la sua carriera tra Milano e Bollate, un "pendolare" capace di passare sette volte da una sponda all'altra del baseball milanese. Ma in rossoblù ha raccolto i suoi trofei più pesanti: le coppe europee con la Mediolanum. Fino a diventare il terza base con più partite nell'angolo caldo della storia rossoblù. Un'altra bandiera che dobbiamo ammainare ma che resterà per sempre nei nostri cuori

Marco Borroni in prima base con la maglia della Mediolanum anni Novanta
Un’altra notizia sconvolgente, un altro pugno nello stomaco. Arriva a metà giornata: il messaggio è di quelli che ti lasciano stordito. E’ mancato Marco Borroni: infarto fulminante. Si è sentito male a casa, poi la corsa al Sacco dove però non hanno potuto più fare nulla. Questa mattina aveva persino fatto in tempo a mettere un like agli auguri per il compleanno di Carlo Passarotto su Facebook, segno di un attaccamento al gruppo che gli era rimasto dentro, come tantissimi di noi del baseball. Poi la vita che se ne va in un attimo, con il dramma di lasciare anche dei figli ancora in giovane età, di 13, 11 e 9 anni, oltre ai due avuti dal primo matrimonio.
Un altro amico che ci lascia troppo presto, ma per noi del Milano anche un grande campione che ci resterà nel cuore. Un anno dopo Ivan Guerci, si arrende un altro dei protagonisti di quella indimenticabile Mediolanum che riuscì a portare a Milano le ultime coppe europee. Marco era uno dei bomber di quella squadra, soprattutto in quelle fantastiche stagioni del 1992-93 che gli valsero anche la maglia azzurra: qualche presenza che considerò come un premio alla carriera. Giocatore generoso, cresciuto nel grande vivaio del Bollate anni Settanta, approdato in serie A giovanissimo, prima di disegnare una incredibile carriera di pendolare tra le due sponde del derby milanese. Tanto da trasferirsi ben sette volte da Bollate a Milano e viceversa. Mettendo insieme qualcosa come 558 partite in serie A1, con un significativo 307 di media battuta, ma anche 283 presenze in maglia rossoblù in 9 stagioni, più una da allenatore nel 2002, quando poi si dimise, a poche giornate dalla fine di quella lunga stagione di A2, lasciando la panchina proprio a Ivan Guerci. Segni di un destino incrociato…
Lo chiamavo Wimpy perché da ragazzo mangiava continuamente e ingrassava, tanto che un compagno americano lo soprannominò con l’appellativo anglosassone di Poldo, il personaggio di Braccio di Ferro che si abbuffa di panini. Ma erano gli anni della gioventù perché poi Wimpy si trasformò in un atleta capace di gestirsi, di migliorare col tempo e di restare in campo per tantissime stagioni, addirittura oltre i 40 anni, arrivando a giocare il suo ultimo campionato in A2 a 41 primavere, ma figurando anche tra i dieci giocatori più anziani schierati dal Milano in serie A1. Arrivò a Milano nel 1980, fortemente voluto da Gigi Cameroni, come prima scelta nel folto gruppo prelevato dal Bollate appena retrocesso. Interno promettente, riuscì ad affinare la propria affidabilità con gli anni, fino a diventare il terza base con più partite da titolare nella storia rossoblù, ben 189, più di Paolo Peonia e di Guido Redaelli. Segno di una indubbia fedeltà al Milano, nonostante l’alternanza bollatese. E d’altra parte sarebbe stato impossibile per lui scegliere tra le due bandiere: “Una è la squadra in cui sono cresciuto, l’altra quella della consacrazione…”. E non a caso Borroni è anche il terzo giocatore ad aver giocato più derby (43) dopo Allara (51) e Papasodaro (45).
Ma la grandezza di Wimpy non si può contenere nelle cifre, seppure importanti, perché per lui ha sempre parlato la grande passione, che forse si traduceva nella voglia di cavalcare, di volta in volta, il lato messo meglio del baseball milanese. Perché i suoi esordi sono stati nella Norditalia dei fratelli Marazzi, dei Bortolomai, di grandi stranieri come Rik Spica o Kim Andrew, di allenatori come Teddy Silva o David Phares. Poi il salto alla Mediolanum di Cameroni e Passarotto con quelli che saranno i compagni di una vita: i fratelli Re, Pierino Allara, Maurizio Brusati, eccetera. E un rimpianto confessato anni più tardi, quello di non aver seguito Radaelli a Bologna. Poi sempre a Milano la bella stagione della Cei di Dummar e Spears, Mitchell e Di Marco, infine il grande salto di qualità nella Mediolanum di Mauro Mazzotti con la coppa delle Coppe e la Supercoppa europea in bacheca. Soprattutto con l’apoteosi di quella coppa vinta in casa degli olandesi del Bussum dopo una fantastica rimonta, con lui in prima base e un diamante tutto italiano con Brusati, Capuozzo e Luca Costa. Coppa “festeggiata” in ospedale dopo aver sferrato un pugno al tetto del dugout per sfogare la tensione a fine partita. Altro segno del temperamento e della passione di Wimpy per lo sport che è stato la sua vita. Un altro campione di quella fantastica Mediolanum che ci lascia così all'improvviso, come è toccato prima di lui a Paolo Cherubini, a Lino Capuozzo e ad Alfio Moia.
Poi per Borroni è arrivata anche l’esperienza da allenatore, ai tempi della fusione con l’Ares, ma forse non era la sua vocazione. Anche se poi ci ha riprovato da coach con il softball per un po’ di anni. Ma appena poteva faceva un salto al Kennedy per vedere anche il Milano, fino a quest’anno, quando ci ha dato una mano ancora ai primi di luglio, per la giornata dedicata ai bambini che volevano scoprire questo sport. Sicuro di poter trasmettere, in ogni momento, quella che è stata la sua grande passione.