Milano 1946

Selmi, dieci anni da presidente
"Gli eventi al Kennedy, la vera rivoluzione"

Eletto il 24 novembre 2014, Alessandro Selmi è il terzo presidente più longevo nella storia del Milano, dopo Lepetit e Ghitti: "Il Kennedy, il ritorno in serie A, lo sviluppo del vivaio e del softball sono il bilancio positivo di questi anni, adesso vogliamo restare stabilmente ai vertici, sul campo ma anche tra le società importanti. Ci serve più visibilità del movimento per cercare sponsor. Ringrazio Marcon per quello che ha fatto per il nostro campo, Mazzieri può proseguire al lavoro perchè vuole mettere gli impianti al centro del suo mandato. La promozione in A del 2020 e le finali scudetto dei nostri baby i due momenti più belli. Ma la vera soddisfazione è ogni evento che riusciamo ad organizzare al Kennedy. Cosa che quando giocavo era inimmaginabile. Potrò dire di aver finito il mio lavoro quando riaccenderemo le luci"


Dieci anni e non li dimostra. Dieci anni di presidenza, perché oggi Alessandro Selmi può festeggiare l’anniversario di quel 24 novembre 2014, in cui il Consiglio del Milano lo insediò formalmente sulla poltrona più alta del club. Dieci anni vissuti con lo stesso entusiasmo del primo giorno, nonostante le tante inevitabili difficoltà e amarezze, pronto a ripartire domattina con lo stesso ottimismo di allora. Dieci anni da numero uno che lo pongono già sul podio dei presidenti più longevi del Milano, anche se due monumenti come Gianni Ghitti (16 stagioni) ed Emilio Lepetit (18) sono ancora abbastanza lontani. E oggi, alla viglia del suo undicesimo campionato alla guida del club, Selmi può voltarsi indietro con soddisfazione a considerare quanto di buono ha fatto o quanto, eventualmente, ha lasciato per strada.

Auguri presidente, ma dieci anni fa, quando questa avventura è partita, avresti pensato di durare così a lungo? Era nei tuoi programmi?

“Sinceramente no, anche perché quando sono partito non avevo un orizzonte temporale. Sapevo solo che bisognava rimettere in carreggiata la società e sicuramente non sarebbero bastati due o tre anni, perché le cose da fare erano veramente tante. Però, se dovessi lasciare domani, posso dire di aver fatto tutto quello che potevo per rilanciare il Milano. Avevamo il problema della riattivazione del Kennedy e in parte l’abbiamo risolto. Volevamo rilanciare il vivaio nel modo migliore possibile e l’abbiamo fatto. Avevamo l’obbiettivo di riportare il Milano in serie A e ci siamo riusciti. Avevamo un ambizioso programma di sviluppo del softball e lo stiamo portando avanti. L’unico aspetto su cui dobbiamo ancora lavorare molto è quello della sostenibilità economica, visto che il nostro modello non è ancora perfetto, ma purtroppo questo progetto non dipende solo da noi. E poi non vanno dimenticati i momenti difficili che abbiamo vissuto, primo fra tutti il periodo del Covid che, nemmeno a farlo apposta, è coinciso con la presa in consegna del Kennedy: il peggior inizio possibile… Inoltre, strada facendo, abbiamo cambiato tanti tecnici e tanti dirigenti, ma soprattutto abbiamo cambiato il segretario dopo più di trent’anni e rimpiazzare il lavoro di Giancarlo Piazzi non è stato facile e non ci siamo ancora completamente riusciti, perché il suo è stato un ricambio molto pesante”.

Qual è stata la più bella soddisfazione di questi dieci anni?

“Sinceramente devo dire che i momenti più belli sono stati quelle serate, e quegli eventi in genere, organizzati al Kennedy, che fossero le feste di inizio stagione o i ritrovi della prima squadra o delle giovanili, tutti momenti che ci hanno fatto sfruttare le enormi potenzialità del nostro centro sportivo come luogo di aggregazione e non solo di agonismo. Tutte cose che io da giocatore non avevo mai vissuto, perché allora il Kennedy era solo un campo da gioco o da allenamento. E questo è stato il più grande cambiamento degli ultimi dieci anni”.

E la più grande delusione?

“Non riuscire a far capire a più gente possibile che il bene della società viene prima degli interessi di ogni singolo componente. Forse proprio per questo abbiamo perso per strada dei tecnici e abbiamo perso dei dirigenti. E si sono creati anche dei conflitti interni. Mi rendo conto che è un problema difficilmente risolvibile, ma è l’unica possibilità che abbiamo per andare avanti. E io me ne faccio carico”.

Dal punto di vista sportivo, invece, qual è il momento che ti porti dentro in modo particolare?

“Direi due momenti, agli antipodi se vogliamo. Uno è quando siamo stati promossi in serie A la prima volta, con la vittoria di Fossano, arrivata alla fine di un anno difficile, il 2020 del Covid, una promozione inaspettata e vissuta molto da vicino. Quella dello scorso anno, invece, è arrivata con una squadra consapevole di essere la più forte del campionato… E il secondo momento sono state le final four per lo scudetto raggiunte dai nostri giovanissimi quest’anno, dalla Under 12 del baseball e dalla Under 13 del softball, tutte e due nello stesso anno e nello stesso fantastico weekend”.

E non bisogna dimenticare che hai anche vissuto una promozione in serie B…

“Già, una risalita immediata dalla serie C grazie alla adesione e all’apprezzabile disponibilità di giocatori e tecnici che hanno deciso di rientrare e mettersi al servizio del club, dimostrando che quando il Milano ha bisogno c’è sempre qualcuno che ha a cuore questa società. E’ in queste occasioni che vedi lo spessore delle persone”.

Una caratteristica che, fortunatamente, è sempre stata alla base delle ripartenze del Milano nei momenti di crisi…

“Sì, ed è per questo che io vorrei sempre più giocatori, tecnici e dirigenti cresciuti nel Milano, perché chi è cresciuto qui non può non avere a cuore le sorti della società. Io per esempio non farei mai il dirigente in un altro club o in un altro sport, perché sono cresciuto qui e mi piace essere qui. Per questo dobbiamo un grande rispetto per chi ha fatto tutto il percorso di questo club. E per questo ho sempre rifiutato con fermezza i tentativi di “rottamazione” di persone che molti consideravano appartenenti al passato. Ci hanno provato in tanti, ma hanno proprio sbagliato”.

Il decennale della tua presidenza coincide anche con un cambiamento importante ai vertici del nostro sport, il passaggio della Fibs da Marcon a Mazzieri…

“Sì, un ricambio importante. Intanto dobbiamo ringraziare Andrea Marcon per il grande sostegno che ci ha dato in questi anni nell’avventura del Kennedy, con tutte le difficoltà che abbiamo passato e stiamo ancora attraversando. Gli va dato sicuramente merito di aver tenuto fede agli impegni ereditati dalla gestione Fraccari e di aver fatto molto per concretizzarli. Adesso ci auguriamo che Marco Mazzieri possa continuare l’opera, certi che metterà in atto una parte importante del suo programma, quella per cui vorrebbe considerare gli impianti del baseball come elementi cardine per l’evoluzione del movimento, cosa tra l’altro ribadita chiaramente nel suo intervento in sede elettorale a Pieve di Cento. Credo che adesso Mazzier abbia davanti due grandi sfide: una è quella di una programmazione che consenta ai club di gestire le proprie forze. Con un numero di partite più adeguato al nostro sport, dai campionati di vertice a quelli dei più piccoli. L’altra è quella di mettere al centro i numeri, soprattutto quelli dei tesserati, perché bisogna assolutamente allargare la base se si vuole far crescere il vertice. Per questo sarà importante il lavoro sul territorio e con i comitati regionali, con un allineamento tra i vari organismi federali. Un aspetto importante su cui il Milano si sente di offrire il proprio impegno di collaborazione”.

A partire dal Comitato regionale lombardo?

“Sì, perché crediamo che le delegazioni regionali debbano impegnarsi soprattutto su due fronti: la formazione e il reclutamento. Formazione di tecnici e dirigenti per attirare più ragazzi possibile e creare le condizioni perché le società possano lavorare al meglio”.

E la sfida che aspetta il Milano, invece, quale può essere?

“Creare le condizioni per poter stare stabilmente ad alto livello. Non solo sul campo, ma anche tra le società importanti. Ci manca ancora la sostenibilità economica, come dicevo, per avere più stabilità e guardare avanti con fiducia e tranquillità. Riusciamo ad essere autosufficienti, ma per fare un ulteriore salto di qualità serve altro. Ci manca la visibilità del movimento per poter avere un adeguato partner commerciale. E poi auspico che ci sia un maggiore coinvolgimento di nuove persone per aiutare chi è qui a guidare il club da dieci, venti o trent’anni. E magari in futuro raccoglierne il testimone”.

Un messaggio per festeggiare i tuoi primi dieci anni?

“Voglio soprattutto dire grazie a tutti quelli che hanno condiviso questo percorso, tutti quelli che hanno lavorato con noi in questo decennio. Anche quelli che magari ci hanno messo in difficoltà, perché ci hanno aiutato a migliorare. E un grazie speciale a mia moglie Simona per la pazienza e il tempo che mi ha permesso di sottrarre alla famiglia. Per quel che mi riguarda, potrò dire di aver finito il mio lavoro solo quando vedrò di nuovo accese le luci del Kennedy”.

Grazie Alessandro, grazie presidente.

22/11/2024
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