Milano 1946

Luca Fraschetti: "200 partite il primo traguardo
Adesso voglio restare a lungo in serie A"

"Chi gioca a baseball sa che i numeri contano e 200 partite valgono molto. Sono giovane, ma le oltre 400 partite di mio padre mi sembrano irraggiungibili. La mia famiglia fondamentale per scegliere questo sport, ma non mi pesa il confronto con papà: so che lui è stato molto più forte di me. Nonno Carlo è stato il mio primo tifoso. Il baseball ha rafforzato il legame con mio cugino Lorenzo. Questo Milano può e deve salvarsi: dobbiamo continuare il nostro lavoro senza arrivare alla fine con l'acqua alla gola. Ma siamo più forti e più maturi della nostra ultima avventura in serie A"


Un senatore di 22 anni. Un ragazzo che ha bruciato le tappe. Il più giovane nella storia del Milano a tagliare il traguardo delle 200 partite, che lo proiettano già tra i fedelissimi: se non ancora tra quelli che hanno fatto la storia, almeno tra quelli che hanno dato tanto al nostro club. E non si può negare che Luca Fraschetti, figlio e nipote d’arte, non abbia già dato il suo bel contributo al rilancio rossoblù post-United e alla crescita del gruppo che adesso sta cercando di mantenere il Milano in serie A per la seconda stagione consecutiva dopo tanti anni. Nato a Milano il 9 gennaio 2002, Luca è figlio di Marco, ex grande catcher rossoblù e azzurro, attuale allenatore della prima squadra, e nipote di Carlo che fu catcher dell’Inter, rivale del Milano in tanti derby anche da allenatore alla guida del Bollate. E’ il più giovane ad essere arrivato a 200 partite, ma è stato anche il quinto giocatore più giovane in assoluto ad esordire da titolare nel Milano il 30 aprile 2017 (in Milano-Sannazzaro 11-1 di serie C), superato solo da Mazzetti, da Torchio, da suo padre Marco e da Andrea Pasotto: quel giorno aveva appena 15 anni, 3 mesi e 21 giorni.

Duecento partite nel Milano, Luca, che cosa significano? Dai importanza a questi numeri?

“Sapevo di aver raggiunto questo traguardo, perché chi gioca a baseball sa che i numeri contano. Sempre. Inutile nasconderlo: i miei numeri li so a memoria, quanti turni, quante valide, quanti kappa ho preso… Magari quando vai male, ci pensi meno. Ma 200 partite sono un bel numero, non posso negarlo. E raggiungerle vincendo è meglio. E ancora meglio averlo fatto in serie A e persino contro il Senago, squadra con cui c’è una rivalità speciale, possiamo dire un derby, adesso che non c’è il Bollate… E poi contro il Senago non avevo mai vinto, ci tenevo a farlo. Insomma una 200entesima volta significativa… Chiamiamolo un bel traguardino”.

Beh, traguardino… Non siete poi tanti ad averlo raggiunto: solo 33 giocatori in 77 anni di storia del Milano. E sei il più giovane di sempre a riuscirci.

“Il fatto che sia il più giovane è solo un caso… Mio padre ci è arrivato poco più tardi perché un anno ha giocato meno, perché il Milano era risalito in A2, e poi perché un anno è andato a Bollate. Però poi è arrivato a oltre 400 presenze, che sono inarrivabili”.

Perché? In fondo sull’età sei in vantaggio…

“Sì, ma adesso giochiamo poche partite rispetto ai suoi tempi. Mi ci vorrebbero almeno 8 stagioni…”.

Intanto a 22 anni sei già uno dei veterani di questo Milano.

“Mi fa un po’ strano parlare di veterano… Però è vero che sono tra i pochi, con Max Sanguedolce, con Bancora, con Pizzi, e fino all’anno scorso con Villa, che adesso è a Senago, ad aver iniziato insieme la risalita dalla serie C nel 2017. Un gruppo che tra alti e bassi è arrivato a ritornare nuovamente in serie A”.

Passando anche per la breve avventura del 2021 con immediata retrocessione. Che cosa è cambiato rispetto a quella esperienza?

“Intanto è cambiato il modo nel quale siamo tornati in serie A. L’altra volta la promozione arrivò nella stagione del Covid, un torneo breve in cui contava solo arrivare primi nel girone, anche se l’ultima giornata, con le due vittorie a Fossano, equivaleva di fatto a una finale-promozione. L’anno scorso invece la squadra era più pronta, più consapevole del salto di categoria. E con Zotti, oltre a Varalda, avevamo un parco lanciatori superiore a tutte le altre squadre di B. Tanto è vero che abbiamo finito con un ruolino di 24 vittorie e 4 sconfitte. Ma nel frattempo siamo anche cresciuti con la mazza, abbiamo un approccio e una mentalità diversa. Nel 2021 invece tecnicamente fu un disastro, nonostante un grande pitcher come Carrillo. Adesso però abbiamo un Varalda in più, che dà molta consistenza al monte anche nella prima partita. Siamo migliorati molto sul monte, in difesa e anche in battuta. E siamo più pronti ad affrontare gli scontri diretti”.

Lo si è visto nelle ultime giornate…

“Sì, tre anni fa con il Torino non siamo mai stati in partita, questa volta abbiamo saputo reagire anche nel momento di difficoltà. Siamo ancora giovani, ma siamo più maturi. Vogliamo restare in serie A e magari restarci a lungo”.

Torniamo alle tue 200 partite. Ti ricordi la prima?

“Certo, contro il Sannazzaro. Anche se l’unico flash che mi resta di quella partita è il fuoricampo di Ben Turner. Perché poi è stata una partita senza storia. Ricordo comunque che ho esordito giocando da esterno, proprio perché allora il titolare dietro il piatto era Ben”.

Ma preferisci giocare catcher o esterno?

“Beh, per il posto da ricevitore ho sempre avuto più concorrenza, prima c’era competizione con Turner, poi con Angelo Torrellas. Certo, fare il catcher è più divertente perché hai sempre la palla in mano, non ti puoi distrarre un attimo, non puoi mai perdere la concentrazione. Ma mi piace anche giocare esterno: sono due ruoli molto diversi”.

C’è una partita indimenticabile tra queste 200?

“Non sono un sentimentale, però ricordo con piacere una vittoria contro lo Junior Parma al Kennedy con un mio walk off. E poi anche le vittorie nelle finali di serie B dello scorso anno, anche se hanno avuto poca storia. Però le finali sono sempre finali: magari farà ridere, ma per me una partita indimenticabile è stata anche la finale di serie C contro il Sanremo, che era una squadra di livello per quel campionato. E noi siamo passati vincendo tre partite dopo aver perso la prima. Una serie di partite che valeva molto più di certi incontri di serie B”.

Parlando di te, non si può fare a meno di ricordare la tua famiglia: tuo padre e tuo nonno. Quanto ha inciso nella tua scelta di giocare a baseball?

“E’ stata una conseguenza naturale, ma la scelta è stata mia. Se avessi voluto fare un altro sport, nessuno mi avrebbe detto niente. E magari sarei arrivato al baseball lo stesso. Certo, mio papà è stato poi determinante nella mia crescita, anche perché, a parte un anno da under 12 in cui ho avuto come manager Valerioti, ho avuto sempre lui come allenatore. Anzi, direi che l’ho sempre accompagnato nella sua carriera di tecnico, dalla gavetta nelle giovanili alla serie A”.

E quanto ti è pesato, invece, il confronto inevitabile con lui?

“Non è stato un peso, anche perché io ho capito molto presto la mia dimensione. Lui è stato sicuramente più forte di me, ha giocato sempre in serie A in squadre importanti e anche in Nazionale. Io so quello che posso valere e quindi so che il paragone è inutile. Forse nei primi tempi mi pensava un po’ il fatto di essere il figlio dell’allenatore e il fatto che qualcuno pensava che giocassi solo per questo. Ma poi ho superato questa fase, anche perché non credo proprio di giocare perché sono suo figlio, ma per quello che ho dimostrato in questi anni”.

E con tuo nonno Carlo che rapporto avevi?

“Bello. Il primo anno in cui ho giocato, lui aiutava mio papà negli allenamenti. Ma ero ancora un bambino, pensavo a divertirmi. Poi è rimasto un nostro sostenitore, anche se negli ultimi anni, soprattutto d’estate, non veniva più tanto a vederci. Ma si è sempre interessato a quello che facevo, così come si interessava a mio cugino Lorenzo (Ambrosioni, ndr). E alla sera, quando veniva a cena da noi, voleva sapere tutto. E mi dava anche consigli. Da giocatore degli anni Sessanta: magari un po’ datati, ma sempre preziosi”.

A casa Fraschetti si parla di baseball?

“Sì, molto. Ma non solo di noi. Parliamo molto di baseball in generale. Seguiamo insieme le partite del baseball di vertice della serie A. Ma studiamo insieme anche i nostri avversari”.

Torniamo al Milano: cosa conosci della sua storia?

“Conosco soprattutto il periodo in cui giocava papà, conosco vittorie e sconfitte e so che alla fine gli è mancato solo lo scudetto. Era un Milano importante, vincente, poi ha perso quella partita con il Verona… E poi so che il Milano è stato forte soprattutto negli anni Sessanta, con tanti scudetti e tante sfide con Parma e Bologna. Poi c’è stato il secondo periodo d’oro ai tempi della Mediolanum”.

E nel Milano di oggi, invece, chi è il tuo compagno ideale?

“Citarne uno sarebbe riduttivo. Diciamone almeno due, partendo da Andrea Capellano, con cui gioco da 7 anni. Ha tre anni più di me, ma siamo molto affini come carattere, con lui mi trovo sempre bene. E poi ovviamente devo dire mio cugino Alessandro, che ho cominciato a frequentare assiduamente proprio grazie al baseball. Prima devo dire che lo vivevo poco, anche come parente, ma da quattro anni ci siamo ritrovati molto. Ma poi dovrei parlare di Bancora, di Sanguedolce, di tutti quelli con cui gioco dai tempi della serie C”.

E qual è il tuo campo preferito?

“Il Kennedy: gli mancano solo le luci per essere un campo perfetto. Fuori casa mi piace giocare a Codogno, mentre mi piacerebbe poter giocare a Bologna”.

E dove potrà arrivare questo Milano?

“Possiamo e dobbiamo finire il lavoro che abbiamo iniziato. L’obbiettivo era quello di salvarci e dobbiamo farlo in modo positivo, cercando la continuità dei risultati. Non mi aspettavo di partire con quattro vittorie su quattro, ma sapevo che potevamo iniziare bene questa seconda fase. Adesso dobbiamo evitarci di arrivare alle ultime giornate con l’acqua alla gola”.

02/08/2024
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