Milano 1946

Il baseball piange Lenny Randle
un istrione che incantò anche Milano

Ci ha lasciato a 75 anni una grande stella degli anni Ottanta, che giocò a Nettuno, Bologna e anche nella Bkv del 1987, dopo aver vestito le casacche di Senators, Rangers, Mets, Yankees, Cubs e Mariners in 12 anni e  1138 partite di Major league. Nelle 4 stagioni italiane ha chiuso con 403 di media battuta e 47 homer in 178 partite. E' stato il primo ex major leaguer a vestire la casacca rossoblù e l'unico, con Jim Walewander, ad aver giocato negli Yankees e nel Milano. Resta iconica della sua carriera l'immagine in cui soffia su una pallina per spingerla in foul 


Lenny Randle, con Carlo Passarotto, nella Bkv Milano del 1987

E’ passato da Milano come una meteora, ma per mezza stagione ci ha fatto capire di avere in casa un pezzo di storia del baseball. Se n’è andato Lenny Randle, aveva 75 anni ed ha giocato nella Bkv del 1987, subentrando a metà campionato al venezuelano Cesar Suarez. Lenny aveva già 38 anni ma, oltre ad avere alle spalle una carriera di 12 stagioni in Major league (con 1138 partite giocate, record tra i sei ex major leaguer passati da Milano), arrivava da un anno a Bologna e soprattutto due anni a Nettuno in cui aveva dato proprio l’impressione di arrivare da un altro pianeta. Probabilmente accettò l’offerta del Milano, sicuramente non ricca, per poter stare ancora in Italia dove aveva mille interessi extra baseball, frutto di una vita poliedrica e confusionaria oltre che di mille iniziative. Diciotto partite a 328 di media battuta gli bastarono però per farsi ben volere, anche perché era impossibile non farsi stregare da un giocatore che, per il nostro livello, era pur sempre un fenomeno.

Il debutto in rossoblù di Randle coincise con il debutto sulla panchina milanese di Mauro Mazzotti, subentrato a Ciccio Roda che non aveva condiviso il “taglio” di Suarez da parte della società. E la sua prima partita fu proprio a Nettuno dove Randle era un idolo, quasi una divinità, per le due straordinarie stagioni che aveva regalato ai tirrenici, soprattutto quella del suo sbarco in Italia in cui chiuse il campionato con uno stratosferico 502 di media con 21 fuoricampo in 54 partite. E infatti, appena arrivato a Nettuno, Lenny chiese il permesso di andare a salutare gli amici, ma esuberante com’era (e a Nettuno aveva trovato l’ambiente ideale per la sua vita pirotecnica fuori dal campo) si attardò fino al punto di arrivare alla partita appena in tempo per il playball, andando a battere senza nemmeno cambiarsi le scarpe… Poi, schierato in terza base, raccolse la prima palla battuta su di lui, la baciò prima di tirarla e per poco rischiò di non fare l’out in prima. Ma a Lenny si poteva perdonare tutto, perché solo il fatto di poter avere in squadra un giocatore di quelle dimensioni ti dava la carica per raddrizzare una stagione iniziata non nel migliore dei modi. E anche quando sparì improvvisamente dalla circolazione, durante la sosta per la Nazionale, senza finire la stagione, la squadra continuò a veleggiare verso i playoff, grazie anche al pieno di positività che Randle le aveva portato.

Lenny d’altra parte era sempre pronto a scherzare con tutti, a partire da Erio Ferrari, il massaggiatore che gli parlava in lodigiano e che lui pensava fosse francese. Ormai era un Randle che si allenava proprio ai minimi termini, ma con la sua classe poteva permettersi di emergere comunque: non a caso parliamo di un battitore che in quattro anni in Italia, tra Nettuno, Bologna e Milano, ha mandato in archivio un significativo 403 di media vita in 178 partite. D’altra parte, ancora nel ’95, ai tempi del clamoroso sciopero della Major legaue, fu tra i candidati a un posto di “replacement player”, per sostituire i giocatori ammutinati, all’età di 46 anni.

Quando se ne andò da Milano, ufficialmente per accompagnare la moglie in America, ma in realtà perché avrà avuto altri interessi, un sacco di gente continuava a cercarlo, tra cui Dan Peterson, che allora curava una rubrica su Tele Capodistria e l’avrà invitato a parlare di baseball. Lenny, andandosene, lasciò la casa di Baggio dove abitava piena di dischi che aveva inciso, ma anche di poster, cartoline, figurine e altri gadget legati alla sua straordinaria carriera nelle Major league. Una carriera iniziata nel 1971, legata curiosamente all’ultima stagione dei Washington Senators e alla prima dei Rangers nel 1972 in cui Randle, da leadoff, fu il primo giocatore ad andare in battuta nella storia della franchigia texana. Dodici stagioni che lo portarono sulle due sponde di New York (due anni ai Mets, uno agli Yankees), ai Chicago Cubs e ai Seattle Mariners dove giocò le sue ultime partite in Major nel 1982, l’anno prima di approdare a Nettuno.

Figlio di uno scaricatore di porto, nato a Long Beach il 12 febbraio del ’49, Randle era anche un uomo facile ad infiammarsi e in America resta negli annali la lite furibonda che ebbe alla viglia della stagione ’77 con il manager dei Rangers Frank Lucchesi, che l’aveva offeso e che Lenny aggredì brutalmente tanto da mandarlo all’ospedale. In Italia invece resta famosa la scazzottata in finale di coppa dei Campioni con Paolo Cherubini, quando Lenny giocava nel Bologna e Paolone lanciava per il Parma e lo aveva colpito. Ne nacque una rissa totale, ma poi Randle e Cherubini divennero buoni amici, proprio quando Lenny giocava a Milano e Paolo veniva ad allenarsi di tanto in tanto al Kennedy. L’immagine più iconica della sua carriera, sempre sopra le righe, rimane comunque quella di Lenny in ginocchio lungo la linea di foul mentre soffia su una pallina smorzata in diamante per farla uscire dal campo. Così come noi vorremmo soffiare via questa brutta notizia, che ci fa chiudere un 2024 pieno di tristezza e di amici che ci hanno lasciato.

30/12/2024
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