Fraschetti, 200 panchine di orgoglio
"Bello essere affiancatro ai grandi"
"Un traguardo che mi fa piacere, non pensavo di arrivare a questo punto. Il Milano mi ha dato tanto da giocatore, adesso cerco di dare continuità al mio contributo. Più di me hanno fatto solo Cameroni, Mazzotti e Passarotto, tre tecnici che hanno fatto la storia rossoblù e ognuno di loro è stato anche mio allenatore. Le tre promozioni i momenti più belli: ci metto anche quella dalla C alla B perchè vincere è bello a qualsiasi livello. La più grande soddisfazione: veder gioire i miei giocatori per questi risultati. Un primo bilancio di questa stagione? Cerchiamo di vincere un po' di partite per aumentare l'autostima: ci servirà nella fase dedcisva"
Dopo Nicola Bancora, arrivato a 200 presenze in campo, tocca a Marco Fraschetti tagliare un traguardo significativo, quello delle 200 panchine nel Milano. Duecento partite che hanno accompagnato i rossoblù dalla ripartenza post franchigia United all’attuale serie A, riconquistata a 3 anni dall’ultima apparizione. Un Marco Fraschetti che, dall’alto dell’esperienza accumulata in tanti anni sul campo, riesce a trasmettere ancora molto ai ragazzi che vuole guidare verso un’importante salvezza. Duecento panchine che lo pongono, oltre tutto, nel ristrettissimo club dei manager che hanno fatto la storia del Milano, preceduto solamente da leggende come Gigi Cameroni, Mauro Mazzotti e Carlo Passarotto. Una serie iniziata addirittura in serie C nel 2017 e impreziosita da tre promozioni ottenute in sette stagioni, una in serie B e due in serie A.
Marco, sette anni fa pensavi di poter durare così a lungo su questa panchina?
“No, non era certo il mio obbiettivo di partenza. Non pensavo di arrivare a questo punto... Che effetto fa? Beh, certamente è un traguardo importante: inutile dire che mi fa piacere e mi rende anche orgoglioso. Perché dopo aver dedicato tanto tempo a questo club da giocatore, adesso posso dare un contributo anche dall’altra parte del campo. Il Milano mi ha dato tantissimo da giocatore, dal punto di vista sportivo ma soprattutto nei rapporti umani con tante persone che hanno fatto molto per questa società. Adesso da allenatore cerco di dare continuità al mio contributo. E sono contento di essere avvicinato a personaggi che hanno scritto buona parte della storia del Milano, anche se in tempi diversi, con possibilità e in situazioni molto diverse”.
Sei nella scia di tre grandi manager che, tra l’altro, sono stati tutti e tre tuoi allenatori…
“Sì, anche se Gigi Cameroni l’ho avuto solo nel mio primissimo anno in prima squadra: avevo 15 anni e mi facevano giocare perché in una partita c’era l’obbligo degli under. Però lo ricordo come una persona molto disponibile. Carismatico ma coinvolgente: fino ad allora lo conoscevo solo di nome, per quello che aveva fatto. Ma ho un bellissimo ricordo di Gigi, con cui mi sono trovato molto bene. Anche se devo dire che sono sempre andato d’accordo con tutti gli allenatori che ho avuto: forse anche perchè giocavo quasi sempre…”.
Passarotto è invece quello che ti ha lanciato in pianta stabile, facendoti esordire giovanissimo anche in serie A…
“Sono stato un suo giocatore, ma sono stato anche suo compagno: l’ho ricevuto anche tante volte. Non dimentichiamoci che Carlo è stato soprattutto uno dei più grandi giocatori del baseball italiano, oltre che del Milano. Uno che ha avuto una carriera lunghissima, sapendosi trasformare da interbase a pitcher, oltre tutto facendo sempre la differenza in serie A al massimo livello. Certo, da allenatore mi ha dato fiducia, facendomi debuttare in serie A a 17 anni, ai gtempi dell’Olivieri”.
Con Mazzotti invece sei arrivato alla maturità.
“Sì, con Mauro ero già un giocatore maturo e di lui ho un ricordo ancora molto vivo. Mazzotti è stato uno dei primi italiani a interpretare questo ruolo con grande professionalità a 360 gradi. E la sua carriera lo dimostra. Con lui, al di là di tutti i benefici del periodo Mediolanum, ci siamo calati in un ambito professionale che non avevamo mai vissuto. E devo dire che quando ho cominciato a fare l’allenatore, Mauro è stato il mio principale punto di riferimento”.
Allora torniamo indietro di 200 partite: ti ricordi la prima alla guida del Milano?
“Sì me la ricordo molto bene, anche perché quel giorno era il compleanno di mia mamma, il 30 di aprile. Non mi ricordo niente della mia prima partita da giocatore in prima squadra o del mio esordio in serie A, ma la mia prima da allenatore me la ricordo benissimo: contro il Sannazzaro al Kennedy in serie C. Ricordo che in quei momenti la serie A mi sembrava lontanissima e il mio obbiettivo era quello di tornare il più in fretta possibile almeno in serie B, una via di mezzo”.
Pero poi sei arrivato anche in A…
“Sì il discorso serie A è stato costruito anno per anno e, ripeto, quel 30 aprile del 2017 mi sembrava proprio lontanissima. Anche perché non sapevo se ci saremmo arrivati e soprattutto se il Milano ci sarebbe tornato con me in panchina. Era una storia tutta da scrivere e con un gruppo di ragazzi quasi tutti debuttanti in prima squadra, a parte Bancora e qualcun altro, tipo Malli e Vialetto”.
In tutti questi anni c’è qualcosa che non rifaresti?
“Sicuramente, perché gli errori ci sono stati, ma non è il caso di fare degli esempi. E comunque il bilancio di queste sette stagioni è complessivamente positivo. Anche perché, se ci sono stati errori, non sono stati certamente nei rapporti. Magari ho sbagliato delle valutazioni, ma credo di non aver mai sbagliato l’approccio con tutti i giocatori, dal titolarissimo a quello che non giocava quasi mai. Della sincerità del mio rapporto con i ragazzi nessuno può dubitare”.
E qual è stato il momento più bello?
“Troppo facile dire le due promozioni, anzi le tre promozioni, compresa quella dalla C alla B. Perché vincere ti dà sempre un gusto straordinario, a qualsiasi livello. Per cui la promozione dalla C alla B l’ho vissuta allo stesso modo delle altre due. Però, se posso dire, la soddisfazione più grande per un allenatore è vedere la felicità dei tuoi giocatori per aver raggiunto quell’obbiettivo. La situazione dell’allenatore è sempre quella più difficile perché, giustamente, se le cose non vanno bene la responsabilità è tua, ma se si vince è giusto dare merito ai giocatori. E la loro felicità, come ti ho detto, è la cosa che più ti ripaga. Anche se, è ovvio, c’è pure la tua gioia personale”.
Ti chiedo invece qual è stata la più grossa delusione.
“Le delusioni cerco di accantonarle in fretta, come devi mettere via velocemente anche le cose belle. Certo, per superare una delusione tante volte non mi basta una nottata. Spesso me la porto fino alla ripresa degli allenamenti del martedì… Per esempio una grande delusione era stato il brutto weekend dello scorso anno in Sardegna con l’Alghero, ma poi tutte le sconfitte sono uguali”.
Si soffre di più da allenatore o da giocatore?
“Quando giocavo era tutto completamente diverso. Da giocatore devi pensare a fare bene il tuo e magari dare l’esempio. Da allenatore devi gestire un gruppo con delle regole uguali per tutti, ma allo stesso tempo sai che non puoi trattare tutti allo stesso modo, perché ogni giocatore è diverso dall’altro, anche nel modo di reagire… Insomma, se fosse possibile, farei ancora il giocatore”.
Intanto siamo arrivati a metà della prima fase di questo campionato. Domani giocherete di nuovo con il Settimo Torinese: che bilancio fai? Ti aspettavi qualche vittoria in più o temevi di raccoglierne meno?
“Non ho fatto delle tabelle di marcia, soprattutto per questa prima fase che, come sai, ha un valore relativo. Giochiamo partita dopo partita e direi che per ora stiamo andando bene. L’importante è calarsi bene in questo livello di campionato per arrivare alla fase decisiva con un po’ di vittorie alle spalle. Che servono ad aumentare l’autostima e a giocarcela alla pari nelle sfide che conteranno”.
Domani a Settimo Torinese il Milano recupera la prima giornata di campionato, rinviata per la tragedia di Ernesto Wong, e poi metterà in fila altre tre trasferte consecutive a Collecchio, Poviglio e Modena. Insomma, praticamente un mese lontano dal Kennedy, grazie a questo calendario bizzarro, prima di chiudere la prima fase in casa con il Verona il 30 giugno.