Addio anche a Goldstein, l'orso che amava i bambini
Grande fuoricampista del Milano degli Invincibili e della Nazionale (protagonista della prima vittoria contro l'Olanda nel '58), se n'è andato anche Andrea Goldstein. Dopo una carriera da prima base, con 5 scudetti e un "cycle", fu per più di vent'anni allenatore delle giovanili rossoblù: nonostante il carattere burbero, fece crescere varie generazioni di giocatori
Una giornata di tristezza senza fine. Quando il destino ci prende di mira, riesce a realizzare l’impensabile. Come la scomparsa, uno dopo l’altro, nella stessa notte di due leggende del Milano. Anche se molto distanti come età, legate dalla stessa passione, persino dal ruolo di prima base, e soprattutto dal fatto di essere rimasti sempre legati, ciascuno a modo proprio, al Milano. Insieme ad Ivan Guerci se n’è andato infatti Andrea Goldstein, 87 anni, le cui condizioni di salute sono precipitate in pochi giorni.
Parlare di Andrea Bolocan Goldstein (o meglio, come diceva lui, “Bolocan sull’asfalto, Goldstein sulla terra rossa”), significa raccontare un gigante, fisicamente ma anche in senso figurato, dei nostri primi scudetti. Protagonista del Milano degli Invincibili, quello che dominò i campionati del ’61 e del ’62 senza perdere una sola partita. E lui di quella squadra fu il prima base titolare in 31 partite su 36 (una la giocò da esterno destro), mettendo la firma su una delle più grandi imprese del baseball italiano.
Cresciuto nell’Ambrosiana di Lou Campo, o meglio del “dottor Campo” come lo chiamavano e lo chiamano ancora ossequiosamente tutti quelli che l’hanno conosciuto, Goldstein è approdato al Milano nel ’57, insieme ai fratelli Balzani, contribuendo a riportarlo subito in serie A e ad arrivare immediatamente allo scudetto nel ’58. Cui per Andrea ne seguiranno altri 4. Non solo, ma Goldstein è anche l’autore (con Bob Gandini e David Sheldon) di uno dei tre “cycle” della storia del Milano, realizzato contro Casaldi, Tagliaboschi e i fratelli Lauri in un Milano-Nettuno del 1961. Una serie di successi che gli aprì anche la strada della Nazionale, in cui debuttò con un homer contro la Germania agli Europei del ’58 e soprattutto fu protagonista della prima storica vittoria azzurra contro l’Olanda ad Utrecht nel ’59: 8-3 con tre fuoricampo firmati da Gandini, Glorioso e proprio da lui.
Grande protagonista in maglia rossoblù (116 presenze e 15 fuoricampo) fino al ’67, quando decise di farsi da parte, forse anche incalzato dai più giovani, ma dopo qualche anno tornò al baseball, trasferendo la sua passione ad allenare i giovani. E, pur tenendo conto delle sue qualità di giocatore, molti sostengono che quello sia stato il Goldstein migliore, calato nella figura rigida ma paterna del manager del vivaio. E in tanti anni al lavoro nel settore giovanile, quanti giocatori ha forgiato Andrea: basti vedere nei messaggi di condoglianze di queste ore quanti lo ricordano come il loro primo allenatore. Da fine anni Sessanta ai primi anni Novanta, Goldstein si è dedicato proprio ai ragazzi, che sembrava persino un controsenso per un uomo burbero e orso come lui. Eppure, in anni in cui non bisognava rispettare i protocolli delle normative protettive di questi tempi, Andrea seppe farsi voler bene da tutti, pur con un approccio pedagogico che oggi avrebbe fatto chiamare subito il responsabile della “safeguarding policy”…
Orso fino in fondo, Andrea ha sempre declinato gli inviti a ritrovi, feste e quant’altro, salvo fatti eccezionali, per poi magari mimetizzarsi in tribuna a seguire le partite, anche in anni recenti. Perché anche lui, in fondo, si è sempre sentito giocatore-fondatore dello spirito del Milano. E questo ci teneva a non nasconderlo.